Si è concluso il voto referendario dell’8 e 9 giugno con l’esito fortemente temuto. L’affluenza complessiva ai referendum si è fermata al 30,5%, insufficiente per il quorum, ed è stata omogenea per tutti e cinque i quesiti. L’esito dei referendum sul lavoro è stata più o meno la stessa, poco più dell’80% dei votanti hanno risposto Sì all’abrogazione delle norme su licenziamenti illegittimi, contratti a termine e sicurezza negli appalti. Diversamente, il quesito cittadinanza ha avuto una percentuale di si di poco superiore al 60%. Le ragioni del mancato raggiungimento del quorum sono molteplici: una disaffezione al voto sempre più crescente degli elettori, una difficoltà di comprensione dei questi ma anche una estrema politicizzazione del referendum passato come referendum di gradimento del governo caratterizzata anche posizioni e dichiarazioni decisamente sorprendenti da parte delle massime cariche dello stato. Abbiamo chiesto di precisare meglio alcune opinioni già espresse sul suo profilo social, al prof. Lorenzo Pisani docente di matematica presso l’Università di Bari.
Prof. Pisani quale messaggio ha comunicato la presidente del consiglio recandosi al seggio elettorale ma non ritirando le schede dei quesiti
L’ho trovato semplicemente devastante come messaggio. Prima di lei, i maestri di strategia avevano invitato a disertare le urne (se la memoria non mi inganna, in talune circostanze pure i vescovi, senza pensare al motto quasi evangelico “chi di quorum ferisce…”). Troppo difficile esporre le ragioni dei NO, assumendosi la responsabilità di dire che, per tenere in piedi il nostro welfare, abbiamo bisogno di lavoratori, ma un po’ li riteniamo di serie B, tanto da tenerli in ammollo prolungato senza cittadinanza. Anziché cercare imbarazzanti giustificazioni per il NO meglio appoggiarsi al corpaccione degli indifferenti. Del resto, siamo il paese che ha dato i natali a Machiavelli.
Ora abbiamo aggiunto la beffa. Preferiamo affondare il bene prezioso del dibattito pubblico, che non è a costo zero (dovremmo ricordarlo), facendo leva sugli indifferenti e con un sorriso “istituzionale”: una visita di cortesia, giusto per vedere l’aria che tira… ma senza ritirare la scheda. Lo scrivevo qualche giorno fa, immaginando la logica conseguenza di questo approccio: potremmo diventare un paese in cui i cittadini si limitano a guardare. Chi vuole vada al mare, ma solo per guardare… Neanche un piede in acqua deve mettere. Chi vuole vada all’agriturismo, ma solo per guardare… Al massimo annusare. Chi vuole vada al centro commerciale, ma solo per guardare… Neanche un gelato ai bambini. Chi vuole vada al concerto, ma solo per guardare e ascoltare… Guai ad applaudire!!!
Va bene così…. così ci facciamo un’idea di una vita sociale senza partecipazione. Formalmente è del tutto legittimo. Bizzarro ma legittimo. A decidere, esprimersi, ci pensi qualcun altro.
Ma se dobbiamo solo guardare…. vale la pena uscire? Può bastare una finestra. Fino a che alla finestra non ti mettono le sbarre. Perché un Paese, senza vita sociale e partecipazione, quello diventa, un paese con le sbarre. E, attraverso le sbarre, si può comunque guardare. Davvero questo vogliamo diventare: un paese che ragiona solo con la pancia oppure rimanendo a guardare???
Lei da matematico ha una particolare curiosità per l’analisi delle percentuali. Cosa può dirci dei risultati di questo referendum?
Alle elezioni politiche di settembre 2022, per la Camera dei Deputati, il corpo elettorale (Valle d’Aosta esclusa, non so perché) ammonta a 46.021.956 cittadini. 16.608.299 decidono di non votare (cavoli loro!). 1.315.461 vanno al seggio e consegnano scheda bianca o nulla (perché mai li dobbiamo contare?). I voti validi sono 28.098.196 e di questi 13.305.014 sono per la coalizione di centrodestra. Il sito ufficiale riporta correttamente la percentuale 43,792%. Il centrodestra ottiene la maggioranza dei seggi in parlamento e l’onorevole Meloni riceve l’incarico e diventa Presidente del Consiglio. Rispetto al corpo elettorale la percentuale di voti del centrodestra è pari a 12.305.014/46.021.956 = 26,737%.
L’8 e il 9 giugno abbiamo votato per 5 referendum. Il corpo elettorale su tutta l’Italia è dato da 45.997.941. Il numero dei Si varia da quesito a quesito. Consideriamo i primi quattro, sul lavoro: si va da 12.011.948 SI per il quarto quesito “Responsabilità infortuni sul lavoro”, fino a 12.249.614 SI per il primo quesito “Reintegro licenziamenti illegittimi”. Facciamo la media sui quattro quesiti e viene 12.129.586,75. Rispetto al corpo elettorale la percentuale (della media) dei SI è pari a 12.129.586,75/45.997.941 = 26,369%. Tuttavia non vi sono effetti: nel caso dei referendum abrogativi chi decide di non votare viene contato tra i contrari all’abrogazione. Inoltre, per quello che conta (niente), la percentuale del centrodestra alle politiche era comunque più alta!!! Più alta dello 0,368%. Siamo a un quasi pareggio, che nel quadro legislativo corrente, suona come una netta sconfitta.
Invece per me rimane inspiegabile che in un Paese con le tanto decantate radici cristiane, con un passato di emigrazione massiccia, per di più al collasso demografico, i SI sulla “cittadinanza” (che vuol dire riconoscimento e accoglienza di chi viene a lavorare da noi) si fermino a 9.023.538, il 19,617% del corpo elettorale. Si trattava di riportare la legislazione alla situazione precedente al 1992: prima di quella data, per chiedere la cittadinanza bastavano 5 anni di soggiorno legale (più eventuali ulteriori 3). Un tema così serio avrebbe meritato maggiore attenzione, da parte di tutti (anche di chi lo ha pensato questo referendum).
Ma aggiungiamo qualche dettaglio in più. Si trattava di abrogare una legge del 5 febbraio 1992. Ad agosto 1991 gli albanesi della Vlora erano sbarcati a Bari, il nostro don Tonino Bello era sul molo (e noi ancora oggi tutti a commuoverci). Il governo dell’epoca, col famoso ministro Scotti, lo scherniva, don Tonino, e, coerentemente, volle inasprire le norme sulla cittadinanza: non sia mai che diventino padroni in casa nostra. Con il referendum potevamo abrogarla la norma voluta da quel governo, per una lettura lucida del presente, oppure semplicemente per stare dalla parte di don Tonino. E invece, anche a qui a Molfetta, i SI sulla cittadinanza sono pochi: si fermano a 10.380 su 47.671 elettori, il 21,774%.