Prima di cominciare il cammino, di solito ci si chiede se ne vale la pena o se in fondo la strada da percorrere potrebbe farci smarrire – e smarrire in modo ineluttabile – le cose a noi più care. Per farlo mi piace utilizzare ampi stralci di una riflessione operata dal Servo di Dio Mons. Antonio Bello agli operatori della politica il 22 dicembre 1985.
Impegnarsi in politica per dirla con Mons. Bello è: “il mestiere fra i più ingrati e incompresi” perché, diceva: “Quando si parla di voi la gente corruga la fronte, ricorre alla battuta convenzionale, si sente autorizzata dal tacito consenso generale ad avanzare giudizi pesanti e, bene che vada, l’aggettivo più innocuo che appone alla parola politica è quella di sporca… La gente con voi o è ossessivamente cortigiana strisciandovi davanti con le forme del lecchinaggio più vile o vi disprezza dall’alto della sua sufficienza, indicandovi come i capri espiatori di ogni malessere sociale, anche il più ineluttabile. I puritani vi scansano con ostentazione, dichiarando che non vogliono contaminarsi le mani con voi. Gli amici vi chiedono, con scoraggianti sorrisi, chi mai ve lo fa fare. I parenti vi ripetono che fareste meglio a pensare un po’ più alla famiglia. I preti parlano di voi con tanti sottintesi misteriosi al punto che dal loro linguaggio traspaiono centomila riserve… Anche quando vi siete prodigati con la generosità più pura, vi sentite al centro di una nebulosa di sospetti. Anche quando vi siete spesi senza parsimonia e avete pagato prezzi altissimi di tempo, di fatica mentale e forse anche di denaro, siete costretti a difendervi dalle aggressioni della critica mordace, dalla perfidia dell’ironia più subdola, dal distorcimento operato perfino sulle vostre intenzioni più pulite, dal livore di parte o dalla strumentale manipolazione degli avversari. È davvero una vita scomoda”. (A. BELLO, Mistica arte. Lettere sulla politica. Molfetta, Edizioni La Meridiana 2014, pag. 18)
Da questa prima valutazione sembra proprio che non ne valga la pena impegnarsi in politica. Ma la curiosità ci spinge a fare anche cose ardite e apparentemente senza senso, specialmente quando appaiono sconsigliate. Per cui proviamo comunque a cercare ulteriori motivazioni prima di decidere definitivamente se abbandonare questa diramazione.
Quando si intraprende un cammino lungo un sentiero occorre attrezzarsi con un minimo di oggetti necessari da portare nel proprio zainetto che potrebbero tornare utili. Se decidiamo di percorrere il cammino della riscoperta del valore e della necessità di un impegno “nel mondo, ma non del mondo” di un cristiano, un elemento indispensabile da portare è certamente il paragrafo 31 della costituzione del Concilio Vaticano II Lumen Gentium che così recita: “Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti i diversi doveri e lavori del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo esercitando il proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a manifestare Cristo agli altri principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità”.
Il Concilio Vaticano II, nella riscoperta del valore dei laici all’interno della Chiesa, sottolinea quindi come sia priorità per i laici cercare il Regno di Dio sia attraverso una dimensione interiore, caratterizzata da una adesione a Dio con una vita di fede adulta e profonda, sia attraverso una dimensione esteriore che è caratterizzata da una testimonianza coerente e attiva per la diffusione del Regno, senso profondo della vocazione cristiana.
Questa ricerca del Regno deve avvenire attraverso la vita quotidiana di fede nella famiglia, nella professione, nell’economia, nella politica, nella giustizia, nella scienza, nell’arte, nelle comunicazioni sociali, insomma in ogni opera dell’uomo. Una ricerca che deve essere un connubio di fede e operatività, una ricerca di “contemplattività” (sostantivo tanto caro al Servo di Dio Mons. A. Bello) cioè vita di fede interiore a fondamento delle attività attraverso le quali l’uomo organizza il proprio vivere e si costruisce la convivenza umana.
Per usare un’espressione del Servo di Dio G. Lazzati, è una attività rivolta alla costruzione della città dell’uomo (la polis), nella quale ognuno dovrebbe crescere come uomo “verso una misura sempre più sviluppata e piena delle sue capacità, tutte, da quelle corporee a quelle spirituali: intelligenza, volontà, libertà” (G. LAZZATI, Per una nuova maturità del laicato. Il fedele laico attivo e responsabile nella Chiesa e nel mondo. Roma, Edizioni AVE, 1986, pag.42).
Ma come partecipare alla costruzione della città dell’uomo e perseguire l’individuazione e l’attuazione del bene comune? Senz’altro ripartendo da ciò che da sempre ci unisce, il “pensiero” cristiano. Proviamo a conoscerlo.
Onofrio Losito