Lavoro e Politica, binomio inscindibile

“La quantità, qualità e dignità del lavoro è la grande sfida dei prossimi anni per la nostra società nello scenario di un sistema economico che mette al centro consumi e profitto e finisce per schiacciare le esigenze del lavoro”. Comincia così il Messaggio della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace in vista del 1° maggio 2020 che prosegue ribadendo che “Dignità della persona non significa essere destinatari di un mero trasferimento monetario ma piuttosto essere reinseriti in quel circuito di reciprocità nel dare e avere, nei diritti e doveri che è la trama di ogni società”. Ma per rimettere il lavoro al centro dell’economia, e la persona al centro del lavoro, occorre un rinnovato impegno politico, che aiuti a rimuovere gli ostacoli per chi il lavoro lo crea, che favorisca istituzioni formative (scuole, università, formazione professionale) all’altezza di queste sfide, e che crei una rete di protezione per i soggetti più deboli, uno strumento efficace di reinserimento e di recupero della dignità perduta per gli scartati, gli emarginati che desiderano reinserirsi nel circuito di diritti e doveri della società. In sintesi il lavoro non cambia e non cresce, e il bene comune rimane un’utopia, senza una buona politica. Ma quale contributo alla buona politica spetta ai cristiani? A questa domanda Don Tonino in una intervista apparsa sul: Il Messaggero di S. Antonio, nel 1987, affermava che “il credente, oggi più che mai, debba accettare il rischio della carità politica, sottoposta per sua natura alla lacerazione delle scelte difficili, alla fatica delle decisioni non da tutti comprese, al disturbo delle contraddizioni e delle conflittualità sistematiche, al margine sempre più largo dell’errore costantemente in agguato. Il cristiano, in pratica, imbocca la Gerusalemme-Gerico; non disdegna di sporcarsi le mani; non passa oltre per paura di contaminarsi; non si prende i fatti suoi; non si rifugia nei suoi affari privati; non tira diritto per raggiungere il focolare domestico, o l’amore rassicurante della sposa, o la mistica solennità della sinagoga…È un mestiere difficile, non c’è dubbio. Non solo perché richiede la coscienza dell’autonomia della politica da ogni ipoteca confessionale e il riconoscimento della sua laicità. Ma anche perché deve evitare la tentazione, sempre in agguato, dell’integralismo: diversamente si ridurrebbe il messaggio cristiano a una ideologia sociale. Il cristiano che fa politica analizza in profondità le situazioni di malessere. Apporta rimedi sostanziali sottratti alla fosforescenza del precariato. Non fa delle sofferenze della gente l’occasione per gestire i bisogni a scopo di potere. Paga di persona il prezzo di una solidarietà che diventa passione per l’uomo. Addita in termini planetari e senza paure, i focolai da cui partono le ingiustizie, le violenze, le guerre, le oppressioni, le violazioni dei diritti umani. Sicché, man mano che il cristiano entra in politica, dovrebbe uscirne di pari passo la mentalità clientelare, il vassallaggio dei sistemi correntizi, la spartizione oscena del denaro pubblico, il fariseismo teso a scopi reconditi di dominio. Utopie? Forse. Ma così a portata i mano, che possono finalmente diventare “carne e sangue” sull’altare della vita.

Onofrio Losito

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