All’approssimarsi di ogni consultazione elettorali si riapre costantemente il dibattito sulla questione della costruzione di un soggetto politico cristianamente ispirato che guarda al magistero sociale della Chiesa come ad un utile strumento per la costruzione di un programma politico.
Orfani ormai da un trentennio di un partito di riferimento i cattolici (intendiamo per tali coloro che vivono un’esperienza di formazione all’interno di associazioni, gruppi e movimenti cattolici, e non di chi sventola o bacia il rosario all’occasione) vagano alla ricerca di un centro di gravità che possa coagulare un’appartenenza comune. I diversi tentativi di far gemmare esperienze di impegno politico dei cattolici hanno suscitato o un rapido quanto effimero entusiasmo o una diffidenza e prudenza tipicamente rivolta verso chi si cimenta nell’agone politico. In entrambe i casi le radici di tali esperimenti restano deboli e finiscono nel dimenticatoio. E’ questo il risultato di un allontanamento dalla vita politica italiana delegata in passato ai Vescovi che ha sospeso quella mediazione tra l’essere “cittadini nel mondo ma non del mondo” che è l’essenza dell’agire cristiano nella polis. La dimensione formativa del mondo dell’associazionismo cattolico ha interpretato il compito dell’impegno politico più come un servizio al bene comune vago e confuso spesso incentrato solo sulle categorie morali o bioetiche, che come sviluppo di un pensiero politico caratterizzato da una storia, una tradizione e da degli ideali. Si è determinato così una eccessiva esposizione ai temi etici e bioetici (unioni civili, fecondazione medicalmente assistita, matrimonio “naturale”, fine vita) lasciando fuori questioni complesse e spesso conflittuali come l’economia, l’innovazione, l’occupazione, l’istruzione, la ricerca, la sanita, ecc. Temi su cui non è visibile la visione cristiana rispetto alle politiche dominanti dettate da un mercato globale teso alla crescita continua piuttosto che ad uno sviluppo sostenibile caratterizzato da giustizia, dialogo, solidarietà, sussidiarietà, equità. Manca cioè quell’approccio alla gestione del bene comune caratterizzato dal: vedere, giudicare ed agire.
“Vedere” cioè acquisire consapevolezza delle problematiche avvalendosi di chi possiede competenze specifiche; “giudicare” avvalendosi del confronto con le fonti cristiane, “agire” sulla base di conoscenze accurate con un atteggiamento propositivo e senza timori di sorta.
Può una campagna elettorale suscitare una riflessione per un agire comune che si sviluppi in un percorso condiviso di crescita della coscienza civile di cristiani impegnati per il bene comune?
Probabilmente la risposta è no, ma se trasformismi, egoismi, incompetenze e superficialità caratterizzano da anni la politica a vari livelli e il “turarsi il naso per scegliere il male minore” diventa lo slogan dei tanti riproposto ad ogni vigilia elettorale, probabilmente il pensare e agire politicamente da cristiani è solo un nostalgico ricordo e quindi anche una consultazione elettorale potrebbe essere l’occasione per ridestare la scintilla dell’impegno politico.
Non si tratta di creare un partito di cattolici ma di suscitare quelle chiavi di interpretazione e di elaborazione culturali dell’agire politico che pur nella loro diversità sappiano fare sintesi dinanzi a obiettivi di interesse comune: quelli che riguardano la dignità dell’uomo.
Si può fare?
Onofrio Losito